Capitolo 1: Il Mondo del Dono

 

PARTE PRIMA: L’ECONOMIA DELLA SEPARAZIONE

Le crisi convergenti dei nostri tempi nascono tutte da una radice comune, che possiamo chiamare Separazione. Assumendo molte forme – lo spacco fra uomo e natura, la disintegrazione della comunità, la divisione della realtà in campo materiale e campo spirituale – la Separazione è intessuta in ogni aspetto della nostra civiltà. È inoltre insostenibile: genera grandi e crescenti crisi che ci stanno catapultando in una nuova era, l’Età della Riunione.

La Separazione non è una realtà assoluta, ma una proiezione dell’uomo, una ideologia, una storia. Come in tutte le culture, ciò che definisce la Storia della Gente ha due parti profondamente in relazione fra di esse: una Storia dell’Individuo, e una Storia del Mondo. La prima rappresenta il noi stessi come discreto e separato: una bolla psicologica, un’anima incapsulata nella pelle, un fenotipo biologico guidato dai geni all’individuazione del vantaggio individuale, un attore razionale alla ricerca del successo economico personale, un osservatore fisico di un universo oggettivo, un moto di coscienza in una prigione biologica. La seconda è la storia dell’Ascesa: l’umanità che, partendo da uno stato d’ignoranza e impotenza, imbriglia le forze della natura e indaga sui segreti dell’universo, progredendo verso il nostro inesorabile destino di completo controllo sulla, e trascendenza della, natura. È una storia di separazione dell’aspetto umano da quello naturale, in cui il primo si espande e il secondo viene progressivamente trasformato in risorse, beni, proprietà e, in ultimo, denaro.

Il Denaro è un sistema di convenzioni sociali, di significati e simboli che si sviluppa nel tempo. È, in altre parole, una storia esistente all’interno della realtà sociale accanto ad altri elementi quali leggi, nazioni, istituzioni, calendari e orologi, religione e scienza. Le Storie hanno un potere creativo tremendo. Attraverso di esse coordiniamo l’attività umana, focalizziamo l’attenzione e l’intenzione, definiamo ruoli e identifichiamo ciò che è importante ed anche ciò che è reale. Le Storie dànno significato e scopo alla vita e dunque motivano le nostre azioni. Il denaro è un elemento chiave della storia della Separazione che definisce la nostra civilità.

La Parte Prima di Economia Sacra chiarisce il sistema economico eretto sulle fondamenta della storia della Separazione. L’anonimità, la depersonalizzazione, la polarizzazione della ricchezza, la crescita infinita, il saccheggio ecologico, il tumulto sociale e le crisi irrimediabili sono parte così integrante del nostro sistema economico che solo la trasformazione della Storia della Gente, che ci definisce, potrà sanarlo. La mia intenzione è quella di identificare le caratteristiche fondamentali dell’economia della Separazione, così da permetterci di creare la visione dell’economia di Riunione, economia che restauri l’integrità delle nostre comunità fratturate, delle relazioni, delle culture, degli ecosistemi e del pianeta stesso.

* * *

Capitolo 1: Il Mondo del Dono

Anche dopo così tanto tempo

Il sole mai dice alla terra,

“Mi devi.”

Guarda che succede

con un tale amore,

illumina l’Intero Cielo.

– Hafiz

All’inizio fu il Dono.

Siamo nati infanti incapaci, creature fatte di puro bisogno, dalle poche risorse, eppure veniamo nutriti, protetti, vestiti, stretti e consolati, senza aver fatto nulla per meritarlo, senza offrire nulla in cambio. Questa esperienza, comune a tutti coloro che hanno superato l’infanzia, influenza alcune delle nostre intuizioni spirituali più profonde. Le nostre vite ci sono donate; quindi, la nostra condizione predefinita è quella della gratitudine. È la verità della nostra esistenza.

Anche se la tua infanzia è stata orribile, il fatto che stai leggendo in questo momento vuol dire che ti è stato dato abbastanza per sostenerti fino al suo superamento. Per i primi anni di vita, nulla era guadagnato o prodotto. Era tutto un regalo. Immagina di uscire dalla porta in questo istante e di trovarti immerso in un mondo alieno nei confronti del quale tu sia un completo inetto, non sai come nutrirti o vestirti, sei incapace di usare i tuoi arti e persino di distinguere dove finisca il tuo corpo e dove abbia inizio il mondo. Ad un certo punto, esseri enormi arrivano e ti proteggono, ti nutrono, si prendono cura di te e ti amano. Non ti sentiresti grato?

In momenti di chiarezza, forse dopo lo sfiorare la morte, o nell’accompagnare un caro attraverso il processo della dipartita, sappiamo che la vita stessa è un dono. Proviamo una gratitudine travolgente nell’essere vivi. Camminiamo meravigliandoci delle ricchezze, immeritate e gratuitamente disponibili, associate alla vita: la gioia del respirare, la delizia dei colori e del suono, il piacere del bere acqua per soddisfare la sete, la dolcezza del volto di chi amiamo. Questo insieme di meraviglia e gratitudine è un chiaro segno della presenza del sacro.

Avvertiamo la stessa reverenza e gratitudine quando comprendiamo la magnificenza della natura, la miracolosa complessità e ordine di un ecosistema, un organismo, una cellula. Sono impossibilmente perfetti, ben al di là della capacità delle nostre menti di concepire, creare, o anche solo comprenderne più che una sola minima parte. Eppure esistono, senza che noi le si debba creare: un mondo intero per sostenerci ed includerci. Non dobbiamo capire esattamente come germina e cresce un seme; non dobbiamo farlo succedere. Tutt’oggi, il funzionamento di una cellula, di un organismo, di un ecosistema sono in gran parte un mistero. Senza avere il bisogno di architettarlo, senza neanche avere il bisogno di comprenderne il funzionamento, riceviamo comunque i frutti della natura. Puoi immaginare la meraviglia e la gratitudine dei nostri antenati nel contemplare l’immeritata provenienza che così liberamente il mondo gli donava?

Non c’è da meravigliarsi che gli antichi pensatori religiosi affermassero che Dio aveva creato il mondo, e non c’è da stupirsi che dichiarassero inoltre che fosse Dio ad avercelo donato. La prima è un’espressione di umiltà, la seconda di gratitudine. Purtroppo, i teologi in seguito distorsero questa realizzazione a significare, “Dio ci ha dato il mondo da usare, da controllare, da dominare.” Una tale interpretazione è contraria allo spirito della realizzazione originale. L’umiltà sa che un tale dono va oltre la nostra abilità di divenirne padroni. La Gratitudine sa che onoriamo, o disonoriamo, il portatore di un dono a seconda dell’uso che del dono facciamo.

La cosmologia moderna afferma inoltre il riconoscimento mitologico dell’universo-quale-dono. Non è il Big Bang un qualcosa (addirittura tutto) in cambio di nulla? (1) Questa sensazione è rafforzata dall’esame ravvicinato delle varie costanti della fisica (velocità della luce, massa dell’elettrone, le resistenze relative delle quattro forze fondamentali, ecc.), le quali inspiegabilmente hanno gli esatti valori necessari ad un universo contenente materia, stelle, e vita. È come se l’intero universo fosse costruito per noi, per permetterci di esistere.

All’inizio fu il Dono: fu nell’archetipo nascere del mondo, all’inizio delle nostre vite, e nell’infanzia della specie umana. La gratitudine è quindi per noi naturale, così primitiva, così fondamentale da renderne difficile la definizione. Forse è la sensazione di aver ricevuto un regalo, ed il desiderio di ricambiarlo. C’ è quindi da aspettarsi che i popoli primitivi, connessi a questa gratitudine originaria, la mettessero in atto nelle relazioni sociali ed economiche. Infatti, così era. La maggior parte dei resoconti sulle origini del denaro hanno inizio con baratti primitivi, ma il baratto è di una rarità relativa fra cacciatori-raccoglitori. Il metodo più importante di scambio economico era il dono.

Per quanto basilari, la gratitudine e generosità che sgorgano dal dono coesistono con altri, meno raccomandabili, aspetti della natura umana. Mentre credo nella divinità fondamentale degli esseri umani, riconosco anche che ci siamo imbarcati su un lungo viaggio di separazione da tale divinità, ed abbiamo creato un mondo in cui sociopatici spietati assurgono ad apici di ricchezza e potere. Questo libro non pretende che tali individui non esistano, né che simili tendenze non risiedano in ognuno di noi. Piuttosto, cerca di risvegliare lo spirito del dono che in noi è latente, e di costruire istituzioni che impersonino ed incoraggino quello spirito. Il sistema economico odierno ricompensa l’egoismo e l’avidità. Che forma potrebbe avere un sistema economico che, come nelle antiche culture, ricompensi invece la generosità?

Iniziamo con il comprendere meglio le dinamiche del dono. Qui sopra ho fatto riferimento allo scambio economico, ma non è generalmente una descrizione accurata della comunità basata sul dono. Circolazione è un termine migliore. Oggi ci scambiamo regali, ma tale scambio è già un passo verso il baratto. Nelle antiche comunità il dono era regolato da complessi costumi, usanze che oggi persistono in società che non hanno ancora completamente perso la connessione con il passato. Di solito i circoli del dono sono relazionati alla cerchia delle parentele. Le tradizioni dettano chi dà a chi. Ad alcune categorie di consaguinei ci si aspetta di donare; da altre ci si aspetta di ricevere; e in altri circoli i doni fluiscono in entrambe le direzioni.

Nonostante i doni possano essere reciproci, altrettanto spesso scorrono in cerchio. Io ti dò, tu dài a qualcun altro… ed eventualmente qualcun altro dà a me. Un famoso esempio è il sistema kula degli abitanti delle isole Trobriand, in cui collane preziose circolano in una direzione da isola ad isola, mentre braccialetti circolano nella direzione opposta. Inizialmente descritto dettagliatamente dall’antropologo Bronislaw Malinowski, kula, che letteralmente significa “circolo”, è il fulcro di un vasto sistema di doni ed altri scambi economici. Marcel Mauss lo descrive come segue:

Il sistema del dono-attraverso-lo-scambio permea la vita economica, tribale, e morale del popolo delle Trobriand. Ne è “impregnata”, come Malinowski chiaramente lo esprime. È un costante “dare e avere.” Il processo è contraddistinto da un continuo flusso in tutte le direzioni di doni dati, accettati, e reciprocati.”(2)

Mentre il pinnacolo del sistema kula è lo scambio estremamente ritualizzato di braccialetti e collane cerimoniali fra capi, la rete del dono che lo circonda si estende a tutti gli oggetti pratici, cibo, barche, lavoro, e così via. Il baratto diretto, secondo Mauss, è inusuale. In ogni caso, “Generalmente, anche ciò che è stato ricevuto e – in qualunque maniera – diviene possesso, non è tenuto per se, a meno che uno non possa farne a meno.” (3) In altre parole, i doni scorrono continuamente, fermandosi solo quando incontrano un bisogno presente e reale. Questa è la poetica descrizione del dono secondo Lewis Hyde:

Il dono si muove verso uno spazio vuoto. Mentre circola si rivolge verso colui il quale è stato più a lungo a mani vuote, e se qualcuno appare altrove con un bisogno maggiore il dono lascia il suo vecchio canale e si muove verso quello piu’ bisognoso. La nostra generosità può lasciarci a mani vuote, ma la nostra mancanza allora gentilmente attrae l’intera rete fino a che l’oggetto in movimento ritorna e ci rigenera. La natura sociale aborrisce il vuoto.

Mentre oggi distinguiamo chiaramente fra un regalo e una transazione commerciale, in tempi passati una tale distinzione non era affatto chiara. Alcune culture, come i Toaripi e i Namau, avevano una sola parola per significare comprare, vendere, dare e prendere in prestito (5), mentre la parola šám per gli antichi popoli mesopotamici significava sia “compra” che “vendi”. (6) Questa ambiguità persiste in molti linguaggi moderni. Cinese, Tedesco, Danese, Norvegese, Olandese, Estone, Bulgaro, Serbo, Giapponese, e molti altri non usano che un solo termine per prendere in prestito e prestare, forse un vestigio di tempi antichi quando le due parole non erano distinte. (7) Ciò persiste addirittura fra persone poco educate negli Stati Uniti che a volte usano la parola “borrow” [prendere in prestito n.d.t.] per significare “lend” [dare in prestito n.d.t.], come nella frase “I borrowed him twenty dollars”. Come può essere? Come può la stessa parola essere applicata a due operazioni opposte?

La soluzione del puzzle giace nella dinamica del regalo. Tranne che per le rare, forse solo teoretiche, eccezioni che Derrida chiama “doni gratis”, i doni sono accompagnati o da un qualche elemento di scambio oppure da una obbligazione morale o sociale (o entrambe le cose). A differenza di una transazione di denaro moderna, che è chiusa e non lascia obblighi, la transazione del dono è aperta, e crea un legame attivo fra i partecipanti. Un altro modo di considerare questa dinamica è che il regalo offre qualcosa del donatore, e che quando regaliamo qualcosa, doniamo una parte di noi stessi. Ciò è in contrapposizione alla moderna transazione di prodotti, in cui i beni venduti sono mera proprietà, separati da chi li vende. Tutti possiamo avvertirne la differenza. Probabilmente anche tu hai degli oggetti preziosi che ti sono stati dati, forse oggettivamente indistinguibili da oggetti che avresti potuto comprare, ma che sono unici e speciali perché legati a chi te li ha donati. È per questo che i popoli antichi riconoscevano che con i doni circola una qualità magica, uno spirito.

Oggetti inutili come conchiglie di ciprea, perline carine, collane, e così dicendo furono la prima forma di denaro. Scambiarle per qualcosa di utile è, ingenuamente parlando, semplicemente un modo per facilitare un dono – qualcosa in cambio di nulla. Gli oggetti donati transformano la transazione in qualcosa-per-qualcosa, ma ciò non la rende meno simile a un vero regalo, perché tali oggetti semplicemente dànno forma concreta al sentimento di riconoscenza; sono pegni di gratitudine. Da questo punto di vista, l’identità del comprare e del vendere, del prendere o dare in prestito, è facile da comprendere. Non sono per nulla operazioni opposte. Tutti i regali ritornano al donatore in forma differente. Il compratore ed il venditore sono uguali.

Oggi esiste un’asimmetria nelle transazioni commerciali, asimmetria che identifica l’acquirente come colui che dà soldi e riceve dei beni ed il venditore come colui che riceve i soldi e fornisce i beni. Ma potremmo dire egualmente che il “compratore” sta vendendo dei soldi in cambio di beni, ed il “venditore” sta comprando dei soldi con dei beni. L’evidenza linguistica e antropologica ci suggerisce che questa asimmetria è nuova, più recente dell’invenzione del denaro. Cos’è successo quindi al denaro per creare un tale sbilancio? Il denaro è diverso da qualunque altro prodotto al mondo, e, come vedremo, è questa differenza l’aspetto cruciale che lo rende profano.

D’altro canto riconosciamo intuitivamente i doni come sacri, che è la ragione per cui ancora oggi il donare è accompagnato da una qualche cerimonia. I doni incarnano le qualità chiave della sacralità di cui ho parlato nell’introduzione. Primo, l’unicità: al contrario dei prodotti standardizzati di oggi, acquisiti in transazioni di denaro chiuse e alienate dalle proprie origini, i doni sono unici perché rappresentano una parte del donatore. Secondo, totalità, interdipendenza: i regali espandono la cerchia individuale ad includere l’intera comunità. Mentre oggigiorno i soldi rappresentano il principio “più ho io, meno hai tu,” nell’economia del dono, più hai tu significa anche più ho io perché coloro che hanno donano a chi ha bisogno. I doni cementano la realizzazione mistica della partecipazione in qualcosa più grande di noi che, ancora oggi, non è separato da noi stessi. L’assioma dell’egoismo razionale cambia perché il noi stessi è espanso ad includere qualcosa dell’altro.

La spiegazione convenzionale di come si è sviluppato il denaro che si ritrova nei testi di economia assume il baratto come punto di partenza. Dalle origini, individui in competizione fra loro tentano di massimizzare l’interesse razionale soggettivo. Questa descrizione idealizzata non trova supporto nell’antropoplogia. Il baratto, secondo Mauss, era raro in Polinesia, raro in Melanesia, e completamente assente nel nord-ovest Pacifico. L’antropologo economista George Dalton conferma enfaticamente, “il Baratto, nel senso stretto dello scambio privo di denaro, non è mai stato un modello quantitativamente importante né dominante in alcun sistema economico passato o presente del quale abbiamo informazioni concrete.” (8) Gli unici esempi di baratto, dice Dalton, riguardavano transazioni piccole, infrequenti o di emergenza – così come accade oggi. A parte queste, transazioni senza denaro raramente assomigliavano a quelle impersonali, di massimizzazione dell’interesse che si riscontrano nelle fantasie degli economisti, ma altresì “necessitavano di relazioni personali e durature (e a volte ritualizzate) dai costumi e caratterizzate dalla reciprocità.” (9) Tali transazioni non dovrebbero essere affatto chiamate baratto, ma invece scambi di doni ritualizzati.

Oggi confiniamo i done e gli acquisti in categorie separate ed esclusive; di certo, ad ogni categoria sono applicabili diverse leggi economiche e psicologiche. Ma in tempi molto antichi una tale dicotomia non esisteva, né esisteva la distinzione odierna fra una relazione di commercio ed una personale. Gli economisti, nel raccontare la storia dei soldi, tendono a proiettare nel passato questa distinzione moderna, e con essa assunzioni profonde sulla natura umana, l’individuo, ed il fine dell’esistenza: assunzioni che ci vedono come esseri discreti e separati in competizione l’uno con l’altro per scarse risorse allo scopo di massimizzare l’interesse personale. Non affermo che tali presunzioni non siano vere. Esse definiscono l’ideologia determinante della nostra civiltà, una Storia della Gente che si sta estinguendo. Questo libro è parte del racconto di una nuova Storia della Gente. La trasformazione del denaro è parte di una trasformazione più grande, fondata su congetture assai diverse sull’individuo, sulla vita e sul mondo.

L’economia dell’uomo non si allontana mai molto dalla cosmologia, dalla religione, e dalla psiche. Non erano solo le antiche economie ad essere basate sui doni: lo erano anche l’antica cosmologia e la religione. Anche oggi, il denaro con le sue qualità di standardizzazione, astrazione, e anonimità si trova allineato a molti altri aspetti dell’esperienza umana. Quali nuovi paradigmi scientifici, religiosi o psicologici possono nascere nel contesto di un tipo diverso di denaro?

Se il denaro non proviene dal mondo immaginato dagli economisti, cioè dal baratto basato sul calcolo della massimizzazione dell’interesse personale, da dove è nato? Io propongo che sia nato quale metodo per facilitare l’atto del donare, del dividere, e della generosità, o almeno che porti con sé l’impronta di tale spirito. Per ricreare un’economia sacra, è necessario che il denaro riconquisti quello spirito originario.

Fondamentalmente, il denaro è un concetto stupendo. Permettimi di essere naïve for un momento per poterne rivelare il senso fondamentale e l’essenza spirituale (se non storica). Io ho qualcosa di cui tu hai bisogno, e voglio dartelo. Così lo faccio, e tu ti senti grato e vuoi darmi qualcosa in cambio. Ma al momento non possiedi nulla di cui io abbia bisogno. Così invece mi dài un simbolo della tua gratitudine – una cosa inutile e carina come una collana o un pezzo d’argento. Quel simbolo afferma, “ho fatto fronte ai bisogni di altri e me ne sono conquistato la gratitudine.” Più avanti, quando ricevo un regalo da qualcun altro, gli darò lo stesso pegno. I doni possono circolare attraverso vaste distanze sociali, ed io posso ricevere da persone a cui non ho nulla da dare continuando nonostante tutto il mio desiderio di agire con la gratitudine che tali doni mi ispirano.

A livello familiare, di clan, o band di cacciatori-raccoglitori, il denaro non è necessario per implementare un’economia basata sul dono. Né è necessario nell’unità di organizzazione sociale più prossima: il villaggio o la tribù di poche centinaia di persone. In tale contesto, se non ho bisogno di qualcosa da te ora, o me lo darai in futuro (spinto dalla gratitudine) o lo darai a qualcun altro, che darà a sua volta ad un altro, che lo darà a me. Questo è il “circolo del regalo,” il fondamento della comunità. In una tribù o in un villaggio, la taglia della società è abbastanza piccola da permettere che coloro i quali danno a me riconoscono il mio dare doni ad altri. Non è così in società grandi come la nostra. Se io dono generosamente, il contadino alle Hawaii che ha coltivato il mio ginger o l’ingegnere in Giappone che ha fatto il design dello schermo del mio cellulare non lo sanno. Quindi invece del riconoscimento in persona dei doni, usiamo il denaro: la rappresentazione della gratitudine. La testimonianza sociale dei doni diviene anonima.

Il denaro diviene necessario quando la gamma dei nostri regali deve estendersi oltre le persone che conosciamo personalmente. Quando la taglia dell’economia e la divisione del lavoro oltrepassano il livello di tribù o villaggio. Infatti, i primi soldi apparvero nelle prime civilità agricole che si svilupparono più ampiamente del villaggio neolitico: Mesopotamia, Egitto, Cina, e India. Network di doni tradizionali lasciarono il passo a sistemi centralizzati di ridistribuzione, con il tempio, e più avanti il palazzo reale, come fulcro. Molto probabilmente, tali networks si sono evoluti da tradizioni simile al potlatch [il potlatch è una cerimonia dell’economia del dono che si svolge tra alcune tribù di Nativi Americani della costa nordoccidentale del Pacifico, degli Stati Uniti, e del Canada – n.d.t.] in cui i doni fluivano verso i capi ed altri leaders, per poi tornare da essi verso i consanguinei e la tribù. Iniziarono quali nodi centralizzati per un flusso di doni in larga scala, ma presto deviarono dalla mentalità del dono visto che le contribuzioni divennero forzate e quantificate, ed il disborso verso l’esterno divenne ineguale. Antichi documenti della Sumeria già parlano di polarizzazione economica, di ricchi e di indigenti, e di stipendi a malapena da sussistenza. (10) Mentre erano le direttive centralizzate, e non il mercato, a governare il movimento dei beni (11), i primi imperi agricoli usavano qualcosa di simile al denaro: prodotti agricoli e metallici in unità di misura standard che servivano come materiale di scambio, unità di conteggio, ed immagazzinamento di valore. Dunque già quattromila anni fa, il denaro non rispondeva alle mie ingenue aspettative che lo vedono creare una maggiore abbondanza per tutti attraverso la facilitazione dell’incontro fra doni e bisogni.

Facilitando il commercio, motivando una produzione efficiente e permettendo l’accumulazione di capitale per intraprendere progetti in larga scala, il denaro dovrebbe arricchire la vita: dovrebbe conferire su di noi agio, tempo libero, libertà dall’ansia, ed una distribuzione equitaria delle ricchezze. Infatti, le teorie economiche convenzionali predicono tutti questi risultati. Il fatto che il denaro sia divenuto un agente dell’opposto – ansietà, stenti, e polarizzazione della ricchezza – ci mostra un paradosso.

Se vogliamo avere un mondo tecnologico, con cinema e orchestre sinfoniche, con telecomunicazione e architetture meravigliose, con città cosmopolite e letteratura mondiale, abbiamo bisogno di denaro, o qualcosa di simile, in modo da coordinare le attività umane in una scala sufficientemente ampia da create tali cose. Ho quindi scritto questo libro per descrivere un sistema che possa ripristinare la sacralità del regalo nel sistema monetario. Dico “ripristinare” perché in tempi antecedenti il denaro possedeva connotazioni sacre o magiche. Originariamente, le scorte agricole venivano immagazzinate nel tempio e da esso ridistribuite: il centro della vita religiosa era anche il centro della vita economica. Alcuni autori affermando che la prima moneta simbolica (al contrario della moneta come merce) fu emessa dai templi e poteva essere riscossa in cambio di sacro sesso con le prostitute del tempio (12); in ogni case, è certo che i templi erano profondamente coinvolti nella coniatura delle prime monete, molte delle quali raffiguravano animali sacri e deità. Questa pratica continua tuttora con banconote e monete che riproducono le immagini di presidenti deificati.

Forse un giorno non avremo bisogno del denaro per avere un’economia del dono della portata di miliardi di umani; forse il denaro che descriverò un questo libro è solo temporaneo. Non sono un “primitivista” che sostiene l’abbandonare la civiltà, la tecnologia e la cultura, i regali che ci fanno umani. Prevedo invece la restaurazione di uno spazio sacro per l’umanità, che abbia l’integrità e l’armonia con la natura che aveva al tempo dei cacciatori-raccoglitori, ma ad un livello di organizzazione più alto. Prevedo la realizzazione, e non l’abbandono, dei doni manuali e mentali che ci rendono umani.

Nota come viene naturale il descrivere i nostri esclusivi attributi umani come doni. Seguendo il principio universale del dono, i nostri doni umani assumono anch’essi una parte del Donatore. In altre parole, sono doni divini. La mitologia conferma una tale intuizione, dal dono prometeico del fuoco al dono apolloniano della musica, al dono dell’agricoltura del mitologico reggente cinese Shen Nong. Anche nella Bibbia, non solo ci viene donato il mondo, ma anche il respiro della vita e la nostra capacità di creare – perché siamo fatti nell’ “immagine” stessa del Creatore.

Anche a livello personale, sentiamo tutti che i nostri doni individuali ci sono stati dati per una ragione, uno scopo specifico. Inoltre, abbiamo un desiderio irrefrenabile di sviluppare quei doni, e attraverso di essi, donare al mondo. Ognuno di noi ha provato la gioia di dare ed il disinteressato altruismo di sconosciuti. Basta fermarsi per chiedere indicazioni in città, e la maggior parte della gente è pronta a perdere tempo per aiutarci. Il dare indicazioni ad uno sconosciuto non rientra nell’interesse razionale di nessuno; è una semplice espressione della nostra generosità innata.

È ironico che il denaro, originariamente un mezzo per connettere doni a bisogni, una conseguenza della sacra economia del dono, è oggi precisamente ciò che blocca dal fiorire il nostro desiderio di dare, forzandoci in impieghi noiosi a causa di necessità economiche e opponendosi ai nostri impulsi più generosi con le parole, “non posso permettermelo.” Viviamo in un stato ansioso onnipresente, nato dalla scarsità del denaro da cui dipendiamo per vivere – prova ne è la frase “il costo della vita.” Lo scopo del nostro esistere, cioè lo sviluppo e la piena espressione dei nostri doni, è ipotecato dal bisogno dei soldi, del guadagno, della sopravvivenza. Eppure nessuno, non importa quanto ricco, benestante o agiato, potrà mai essere soddisfatto da una vita nella quale quei doni sono latenti. Anche il lavoro meglio pagato, se non coinvolge i nostri doni, presto diventa noioso, e pensiamo, “non sono venuto al mondo per fare questo.”

Anche quando un lavoro coinvolge i nostri doni, se il suo scopo è qualcosa in cui non crediamo, nasce in noi nuovamente la stessa sensazione di futilità, la sensazione che non stiamo vivendo le nostre vite, ma solo le vite che siamo pagati per vivere. “Impegnativo” e “interessante” non sono abbastanza, perché i nostri doni sono sacri e quindi intesi per uno scopo sacro.

Il nostro scopo sulla terra è essenzialmente un concetto religioso, perché la biologia convenzionale ci insegna che ci siamo evoluti per poter sopravvivere, e che qualunque azione al di fuori della sopravvivenza e della riproduzione è contraria alla nostra programmazione genetica. Ciò nonostante, si può affermare convincentemente che la teoria neo-Lamarkiana in cui la biologia consiste di una miriade di sé stessi discreti, separati ed in competizione l’uno con l’altro – organismi o “geni egoisti” – è più una proiezione della nostra cultura odierna che una comprensione accurata della natura. (13) Esistono altri modi per comprendere la natura che, senza ignorarne gli aspetti ovviamente competitivi, assegnano priorità alla cooperazione, alla simbiosi, e all’emergenza di insiemi più grandi di organismi. Questa nuova comprensione è in realtà molto antica, risuonante del modo indigeno di vedere la natura come una rete di doni.

Ogni organismo ed ogni specie apporta una contribuzione vitale alla totalità della vita sul pianeta, e tale contribuzione, contraria alle aspettative della biologia evolutiva standard, non presuppone un beneficio diretto per l’organismo stesso. Batteri che convertono il nitrogeno in ammoniaca non beneficiano direttamente delle proprie azioni, ecceto che il nitrogeno che essi passano al terreno aiuta a crescere piante che fanno radici che crescono fungi, i quali infine provvedono nutrienti ai batteri. Specie pionieri spianano la strada per specie chiave, le quali creano piccole nicchie evolutive per altre specie, le quali nutrono ancora altre specie in una rete di doni la quale, eventualmente, torna a beneficiare le specie pionieri. Gli alberi estraggono acqua così da nutrire altre piante, e le alghe creano ossigeno così che gli animali possano respirare. Rimuovi qualunque essere, e la salute di tutti diviene precaria.

Puoi pensarmi naïve, con mio ragionare basato sul “così che”. Si potrebbe dire che è solo fortuna che le cose funzionino così bene: agli alberi non interessa irrigare le piante che gli sono attorno – loro pensano solo a sé stessi, massimizzando le possibilità di sopravvivenza e riproduzione. Il fatto che nutrano altri esseri è solo un effetto collaterale indesiderato. Lo stesso si può dire per le alghe, per i batteri che trasformano il nitrogeno, e per i batteri dentro lo stomaco dei ruminanti che gli permettono di digerire la cellulosa. In questo mondo, si può dire, ognuno pensa a sé stesso. La natura è una competizione spietata, ed è naturale che esista un’economia che rifletta lo stesso atteggiamento.

Io non penso che sia naturale. È un’aberrazione, una fase peculiare anche se necessaria che ha raggiunto il suo estremo e che ora sta lasciando il posto ad una fase nuova. In natura, crescita a capofitto e competizione spietata sono caratteristiche di ecosistemi immaturi, a cui si susseguono interdipendenze complesse, simbiosi, cooperazione, ed il ciclo delle risorse. Il prossimo stadio dell’economia umana rifletterà ciò che stiamo iniziando ad imparare sulla natura. Si baserà sui doni di ognuno di noi; porrà l’enfasi sulla cooperazione più che sulla competizione; incoraggerà la circolazione invece che l’accumulo; è sarà circolare, non lineare. Forse il denaro non sparirà presto, ma avrà un ruolo più limitato ed avrà più la caratteristica del dono. L’economia si restringerà, e le nostre vite cresceranno.

Il denaro così com’è oggi è nocivo ad un’economia che manifesti lo spirito del regalo, un’economia che potremmo chiamare sacra. Per capire che tipo di denaro potrebbe rappresentare una valuta sacra, può essere d’aiuto l’identificare esattamente cosa trasforma i soldi nello strumento dell’avarizia, della malvagità, della scarsità, e della distruzione ambientale odierna.

Mentre la scienza solitamente proietta la cultura sulla natura, così l’economia considera condizioni determinate culturalmente come assiomatiche. Vivendo in una cultura di scarsità (perché è scarsità ciò che stiamo provando, nel momento in cui il “tirare a campare” detta l’espressione dei nostri doni), la assumiamo come la base dell’economia. Come in biologia, consideriamo il mondo come una competizione fra individui separati per la conquista di risorse limitate. Il nostro sistema monetario, vedremo, incarna questa convinzione a un livello profondo, strutturale. Ma è vero? Viviamo davvero in un mondo, un universo di scarsità basilare? E se no, se la vera natura dell’universo è abbondanza ed è il dono, come fa dunque il denaro a divenire così innaturale?

Note

1. I lettori di The Ascent of Humanity sanno che preferisco le cosmologie non basate sul Big Bang come quella dell’universo dinamico a regime stazionario di Halton Arp in cui la materia nasce continuamente, invecchia e muore. Ma anche qui, appare spontaneamente dal nulla, come donata.

2. Mauss, The Gift, 29.

3. Ibid., 30.

4. Hyde, The Gift, 23.

5. Mauss, The Gift, 32.

6. Seaford, Money and the Early Greek Mind, 323.

7. I termini cinesi per comprare e vendere hanno pronuncia quasi identica ed anche ideogrammi simili. L’ideogramma che rappresenta il comprare, 買, è nato dalla rappresentazione di una conchiglia di ciprea, un’antica forma di denaro, mentre l’ideogramma che rappresenta la vendita, 賣, fu sviluppato più tardi, suggerendo una precedente mancanza di distinzione.

8. Dalton, “Barter,” Journal of Economic Issues, Vol XVI No.1, March 1982: p. 182.

9. Seaford, Money and the Early Greek Mind, 292.

10. Nemat-Nejat, Daily Life in Ancient Mesopotamia, 263.

11. Seaford, Money and the Early Greek Mind, 123. Seaford fornisce un’evidenza convincente a sostegno della sua affermazione: antichi documenti a forma di liste, opere d’arte rappresentanti processioni di individui che portano doni, ecc.

12. Bernard Lietaer lo afferma nel The Future of Money a proposito di uno shekel di bronzo, che dichiara essere la prima forma di moneta, del 3000 a.c. Nella mia ricerca però non ho trovato altre simili menzioni. Per quanto ne so, le prime monete apparvero in Lidia e Cina circa nello stesso periodo, il settimo secolo a.c. .

13. Riassumo questo argomento nel Capitolo 7 di The Ascent of Humanity, riferendomi al lavoro di Lynn Margulis, Bruce Lipton, Fred Hoyle, Elisabet Sahtouris, ed altri.

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